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CASO INDELICATO C. ITALIA

 

I FATTI

Rosario Indelicato viene arrestato il 6 maggio 1992 su esecuzione di un mandato di arresto emesso dal giudice delle indagini preliminari del tribunale di Palermo, nell’ambito di un’inchiesta sulle attività di traffico di stupefacenti legate alla mafia. Il ricorrente è sottoposto, presso il carcere di Palermo, su ordine del Ministro di grazia e giustizia, al regime di detenzione speciale ex art. 41-bis. Questo regime viene prorogato di sei mesi in sei mesi fino al 2 settembre 1997. Nel frattempo, Rosario Indelicato viene rinviato a giudizio davanti al tribunale di Marsala. Con la sentenza del 26 maggio 1995, il tribunale di Marsala lo condanna alla pena di dodici anni di reclusione per traffico di stupefacenti. Il 6 febbraio 1998, la Corte d’appello di Palermo proscioglie il ricorrente. Con un giudizio del 1995, confermato un anno dopo dalla Corte d’appello di Palermo, l’imputato viene condannato a quattro anni e sei mesi di reclusione per associazione criminale di tipo mafioso. Il 20 luglio 1992 il detenuto è trasferito al carcere di Pianosa. Le ragioni di questo trasferimento sono dovute principalmente all’adozione, da parte dello Stato, di misure urgenti contro la mafia. Tutti i boss mafiosi vengono trasferiti presso la sezione “Agrippa” del carcere di Pianosa. Rosario Indelicato non ha diritto alle visite della famiglia durante il primo mese di permanenza. Il 10 settembre 1992 Rosario Indelicato denuncia il direttore e gli agenti della polizia penitenziaria del carcere di Pianosa presso la procura della Repubblica di Mazara del Vallo. Lo stesso giorno chiede alla procura di Palermo di essere trasferito nel carcere di Palermo e di inviare un medico per esaminare la prigione. Queste due ultime richieste vengono respinte. Le denunce presentate dal detenuto sono molto gravi: egli sarebbe stato sovente percosso, insultato, minacciato e molestato dalle guardie, sarebbe stato spesso svegliato nel corso della notte senza ragione e obbligato a fare docce fredde, inoltre gli sarebbero stati schiacciati i testicoli. Le torture avrebbero riguardato anche gli altri detenuti, spesso costretti dalle guardie a togliersi le scarpe e a recuperarle, subendo i calci e i pugni degli agenti (sentenza Indelicato par. 14). Il ricorrente afferma, inoltre, di aver perduto quattro denti e di aver avuto insufficienti cure nel corso della detenzione a Pianosa. Nel 1994 le foto di 262 agenti di polizia penitenziaria vengono mostrate all’interessato. Egli ne riconosce due come autori dei maltrattamenti subiti. Questi sono rinviati a giudizio davanti al giudice di Livorno. Il 2 febbraio 1999, a sei anni dalle denunce di Rosario Indelicato, la procura di Livorno condanna i due poliziotti alla pena di 1 mese e 15 giorni per “abuso di autorità contro arrestati o detenuti” (art. 608 C.P.) e all’interdizione dall’esercizio di funzioni pubbliche per la stessa durata. La sentenza prevede, inoltre, il pagamento, a favore del ricorrente, di 12.000.000 di lire italiane a titolo dei danni e delle spese subite. I due agenti presentano l’appello presso la Corte di Firenze. Quest’ultima riqualifica i fatti in maniera ancora più grave, ovvero come “violenza privata con l’aggravante dell’abuso delle funzioni pubbliche”. La sentenza di primo grado viene, dunque, annullata e la vicenda giudiziaria è rinviata alla procura della repubblica presso il tribunale di Livorno dove, allo stato attuale, si trovano gli atti. Nel frattempo, nel 1998, la Corte europea viene investita della questione e tre anni dopo emette il giudizio.

 

 

IL GIUDIZIO DELLA CORTE

Per arrivare alla conclusione, l’organo tiene conto, nella sentenza (par. 19), oltre ai fatti denunciati dal ricorrente e dai testimoni, anche di un rapporto pubblicato nel dicembre 1992 da Amnesty International. Esso concerne il periodo maggio-ottobre 1992 e descrive i maltrattamenti subiti da una cinquantina di detenuti sottoposti al 41-bis nella sezione “Agrippa” di Pianosa. La Corte valuta, inoltre, la relazione del giudice di sorveglianza di Livorno, redatta il 5 settembre 1992 ed inviata al ministro di grazia e giustizia. E’ lo stesso rapporto, relativo alle condizioni del carcere di Pianosa, che l’organo di Strasburgo ha esaminato per pronunciarsi anche sul caso Labita (sentenza 6 aprile 2000). La Corte Europea ricorda che l’articolo 3 sancisce uno dei valori fondamentali di una società democratica. Ribadisce, poi, il carattere perentorio del divieto di tortura. Infatti, nonostante le circostanze di emergenza che affliggono un paese e la lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata, la Convenzione vieta in termini assoluti la tortura e le pene o trattamenti inumani o degradanti (par. 30 della sentenza).La Corte decide all’unanimità che non vi è stata violazione dell’art. 3 per le accuse di maltrattamenti. E’ importante sottolineare, però, che ancora una volta, come nel caso Labita, l’Italia rasenta la condanna. La Corte, infatti, non può condannare la Repubblica italiana soltanto perché non ha prove sufficienti. Manca una certificazione medica che possa attestare le violenze subite (par. 34). Lo stesso organo giurisdizionale ritiene, però, colpevole l’Italia, ex art. 3, in quanto le autorità nazionali competenti non hanno adottato misure adeguate nel condurre l’inchiesta. In particolare vengono sottolineati i ritardi nella conduzione della prima inchiesta, la negligenza nell’identificazione dei presunti responsabili, la lunghezza delle inchieste, d’altra parte sempre in corso dopo il febbraio 2000 (par. 37). La mancanza di prove sufficienti, dunque, secondo l’organo di Strasburgo, non è dovuta alla noncuranza di Rosario Indelicato ma delle autorità italiane che non si sono occupate, con la necessaria attenzione, dei maltrattamenti subiti dal denunciante e delle cure mediche di cui questi aveva bisogno. In base all’art. 41 della Convenzione, la Corte assegna a Rosario Indelicato un risarcimento di 70.000.000 di lire italiane.

 

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