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Sentenza storica della Consulta: si alla sessualità in carcere. Antigone era nel procedimento

 

La Corte Costituzionale ha detto sì alla affettività e alla sessualità in carcere, dichiarando illegittimo l'articolo 18 dell'ordinamento Penitenziario che, in materia di colloqui visivi, imponeva il controllo a vista.

La Corte con una sentenza storica ha ricordato che senza affettività, e quindi sessualità, è lesa la dignità delle persone detenute e si rischia di non rispettare la finalità rieducativa della pena. Una sessualità che la Corte, con una sentenza chiara ed esplicita, apre anche alle coppie di fatto e dunque anche alle coppie omosessuali. Seppur con alcuni limiti la Corte si rivolge all'amministrazione penitenziaria e alla magistratura di sorveglianza per rendere effettivo questo diritto.

Antigone era nel procedimento davanti alla Corte con un proprio atto di intervento. "Adesso - dichiara Patrizio Gonnella - bisogna trasformare un diritto di carta in diritto effettivo. Finalmente, anche grazie alla determinazione e all'impegno di giudici di sorveglianza come chi ha rimesso gli atti alla Consulta, l'affettività e la sessualità non sono più un tabù. Così ci si avvicina ad altri Paesi che da tempo hanno previsto tale opportunità nei loro ordinamenti".

 

Carceri fatiscenti, sovraffollamento e condizioni degradate di vita per detenuti e personale. La fotografia che ci lascia il 2023

8197402220 564af88270 oCarceri fatiscenti, sovraffollamento e condizioni degradate di vita per detenuti e personale. La fotografia che lascia il 2023  "Lanciamo oggi l'allarme sul sistema penitenziario italiano, prima che si arrivi a condizioni di detenzione inumane e degradanti generalizzate. La politica ponga il tema del carcere al centro della propria agenda e accetti di discuterlo senza preconcetti ideologici o visioni di parte". A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, nel presentare un breve report della situazione delle carceri italiane a fine 2023. 

"Quello che notiamo - sottolinea Gonnella - è la crescita estremamente rapida del sovraffollamento penitenziario. Oggi i detenuti sono 60.000, oltre 10.000 in più dei posti realmente disponibili e con un tasso di sovraffollamento ufficiale del 117,2%, con una crescita nell’ultimo trimestre (da settembre a novembre) di 1.688 unità. Nel trimestre precedente di 1.198. In quello ancora prima di 911. Nel corso del 2022 raramente si è registrata una crescita superiore alle 400 unità a trimestre. Andando avanti di questo passo, tra 12 mesi, l'Italia sarà nuovamente ai livelli di sovraffollamento che costarono la condanna della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per violazione dell'articolo 3 della Convenzione Edu".

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Diecimila detenuti in più dopo un anno di frenesia punitiva

8196398253 b323a88bf7 odi Patrizio Gonnella su il manifesto del 28 dicembre 2023

C’è un numero che caratterizza il 2023 penitenziario: 10.000. Sono almeno 10 mila le persone detenute in più rispetto alla capienza regolamentare delle carceri italiane. Numeri freddi che significano: condizioni igienico-sanitarie deteriorate, riduzione delle possibilità di contatto con gli operatori sociali, tensioni, stress, assenza di spazi vitali. Quando i tassi di sovraffollamento divengono così alti ogni detenuto perde la sua identità ed è ridimensionato a numero di matricola. Viene spersonalizzato, così compiendo quel processo di istituzionalizzazione coatta che costituisce, malgrado la buona volontà di molti operatori, l’essenza della risposta carceraria. 

Il racconto dell’ultimo anno è all’insegna della frenesia punitiva e disciplinare del Governo che è tracimata oltre il sistema penale, andando a colpire anche altri mondi come quello della giustizia minorile, della scuola, dell’immigrazione. Sono finiti sotto il mirino della repressione: donne detenute in stato di gravidanza, minorenni che commettono reato, attivisti politici, detenuti che disobbediscono con forme di resistenza passiva, studenti, consumatori di sostanze. Dunque, ben si comprende quale è il target dell’azione repressiva: da un lato i soggetti socialmente vulnerabili, dall’altro i più giovani. Evidentemente si teme il sapere critico delle nuove generazioni.

Una foto, un detenuto che non c’è più, un poliziotto e un matematico sono le immagini del 2023. 

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Apertura bando Servizio Civile Universale

scuÈ ufficialmente aperto il bando Servizio Civile Universale per la selezione di operatori volontari!

Scopri il nostro progetto “La tutela dei diritti delle persone private della libertà 2024”, che vede la coprogettazione tra Antigone Onlus e CILD. 

L’Associazione Antigone mette a dispsizione 4 posti, l’Associazione CILD mette a disposizione 2 posti. 

Il progetto si svolgerà nelle sedi di ROMA, in via dei Monti di Pietralata 16.

Per partecipare al bando è necessario: 

- Avere un’età compresa tra i 18 e i 29 anni (non compiuti alla data di presentazione della domanda, 28 anni e 364 giorni)

- Non aver riportato condanne

- Non appartenere a corpi militari o forze di polizia

Possono partecipare al bando cittadini italiani, cittadini degli altri Paesi dell’Unione Europea e cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti in Italia.

La domanda deve essere presentare esclusivamente on-line attraverso la piattaforma DOL raggiungibile tramite PC, tablet e smartphone all’indirizzo  https://domandaonline.serviziocivile.it, entro e non oltre il 15 febbraio 2024 ore 14.00

Per accedere ai servizi di compilazione e presentazione domanda sulla piattaforma DOL occorre che il candidato sia riconosciuto dal sistema.

I cittadini italiani residenti in Italia o all’estero possono accedervi esclusivamente con SPID, il Sistema Pubblico di Identità Digitale.
Sul sito dell’Agenzia per l’Italia Digitale www.agid.gov.it/it/piattaforme/spid sono disponibili tutte le informazioni su cosa è SPID, quali servizi offre e come si richiede.

Gli aspiranti operatori volontari possono presentare una sola domanda di partecipazione per un unico progetto ed un’unica sede.

L’importo dell’assegno mensile per lo svolgimento del servizio è attualmente pari ad € 507,30.

Il bando è disponibile all’indirizzo: https://www.politichegiovanili.gov.it/media/3hcndi54/bando-scu-2023-rev191223-ultimo-signed.pdf 

Per maggiori informazioni, visitare www.politichegiovanili.gov.it; www.scelgoilserviziocivile.gov.it; sito di Assifero.

Contatti: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Suicidi in carcere, 67 da gennaio. Un’enormità

8196398253 b323a88bf7 odi Patrizio Gonnella su il manifesto del 16 dicembre 2023

Ogni cinque giorni si ammazza un detenuto nelle carceri d’Italia. Un elenco tragico che ho deciso di riportare qua di seguito per restituire loro memoria e in alcuni casi anche giustizia. Indira Rustich, 37 anni, si è suicidata a Trento il 10 dicembre ossia nel giorno in cui vengono celebrati i diritti umani. Si sarebbe impiccata sotto la doccia. Pare avesse da scontare poche settimane ancora di carcere. 

Saidiki Oussama, Mortaza Fahradi e Cristian Mizzon sono tutti morti per propria mano nel carcere di Verona. Quest’ultimo sarebbe stato classificato come morto per overdose. Sedhawi Ahmed, Oumar Dia, Davide Pessina, Italo Calvi, un signore sconosciuto moldavo, Rosario Curcio, Luis Fernando Villa Villalobos sono tutti morti suicidi nelle galere milanesi di San Vittore e Opera. 

Nel solo carcere romano di Regina Coeli si sono tolti la vita Riccardo Bianchi, Denys Molchanov, Alessandro Di Gianbattista nonché un signore libico di cui non conosciamo il nome. E poi ancora Ibrahim Ndiagne, Rodolfo Hilic, Davide Bartoli, G.Z., F.A., C.S. e F.L. (italiani), Damiano Cosimo Lombardo, Makrem Ben Rahal, O.M. e T.R. (marocchini), Erik Roberto Masala, Antonio Di Mario, Andrea Muraca, le donne Azzurra Campari, Graziana Orlaray e Susan John (tutte nella sezione femminile del carcere di Torino), Federico Gaibotti, Massimo Altieri, Angelo Libero, Alexandre Sante de Freitas, Alexandru Ianosi, Francesco Cufone, Bessem Degachi, Abdelilah Ait El Khadir, Luca Maiorano, Massimo Del Mas, Onofrio Pepe, Giacomo Maurizio Ieni, Mbengue Babacar, Liborio Zarba e Victor Pereshshako (nel giro di qualche giorno dopo un lungo sciopero della fame si sarebbero lasciati morire nel carcere di Augusta), Pino Carmelo, Gaetano Luongo, Filippo Giovanni Corrao, Angelo Frigeri, Uruci Xhafer, Aymes Dahech, Luca Di Teodoro, Michele Pellecchia, Fabio Romagnoli, Fabio Gloria, Moura Chaid e altri ancora le cui identità non sono certe e note (molte delle storie le conosciamo grazie alla tenacia informativa di Ristretti.it).

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Appello: no al pacchetto sicurezza

4-1440x810Appello alle forze parlamentari contro il disegno di legge recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica, tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario.

Le sottoscritte organizzazioni della società civile impegnate per la promozione del rispetto dei diritti umani lanciano un appello urgente affinché il Parlamento non adotti il “pacchetto sicurezza” governativo presentato pubblicamente a fine novembre. Un provvedimento che, ancora una volta, prevede la creazione di nuove fattispecie di reati nonché l’aumento significativo di sanzioni penali e pecuniarie per condotte delittuose già previste dal nostro ordinamento. 

Nella giornata mondiale che ricorda il 75esimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione universale sui diritti umani, e alla vigilia della revisione periodica universale che vedrà la Repubblica italiana scrutinata dal Consiglio sui diritti umani delle Nazioni unite nel 2024, riteniamo che quanto proposto dal Governo vada nella direzione diametralmente opposta da quanto deciso dalla Comunità internazionale il 10 dicembre 1948. 

Infatti, tra i principi che ispirarono quella Dichiarazione adottata all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale ci sono la non-discriminazione e la proporzionalità delle pene; buona parte di quanto contenuto nello schema governativo rappresenta una grave violazione dello spirito della Dichiarazione universale e della lettera dei Patti internazionali sui diritti umani che l’Italia ha ratificato oltre mezzo secolo fa. 

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I nostri 6 NO al pacchetto sicurezza

pacchetto sicurezza1. No al recente pacchetto sicurezza del Governo che semplifica tragicamente la nostra società attraverso un inutile e ingiusto inasprimento del modello di repressione penale e carceraria. La sicurezza è una cosa seria e non può essere declinata solo in termini di proibizioni e punizioni. La sicurezza si conquista con inclusione lavorativa e reddito, offerta generalizzata di salute fisica e psichica, città aperte e a disposizione anche nelle roe notturne di donne e uomini, solidarietà sociale verso le fasce più bisognose della popolazione. La sicurezza è prima di tutto sicurezza sociale, lavorativa, umana. Il pacchetto sicurezza del Governo, che fa seguito alle norme già approvate su rave parties, minori e migranti, è una forma di di strumentalizzazione delle paure delle persone e di divisione manichea della società in buoni e cattivi. No al governo nel nome della paura e sì al governo nel nome della solidarietà di cui all’articolo 2 della Costituzione.

2. No alla criminalizzazione delle lotte sociali e alla trasformazione in reati di comportamenti che hanno a che fare con grandi questioni sociali (la casa e il diritto all'abitare) o stili di vita giovanili (i writers). Temi come quelli delle occupazioni delle case vanno affrontati con le tradizionali vie del welfare comunale, del dialogo, della composizione dei conflitti.

3. No all’aumento di pene ogniqualvolta il reato sia commesso nei confronti di un pubblico ufficiale. E’ questa una idea di diritto penale che risale a tradizioni giuridiche reazionarie. Non si vede perché un cittadino comune che non indossa la divisa valga di meno di uno che lavora in nome e per contro dello Stato. Nello stato liberale tutti valiamo uguali e non c’è gerarchia di valore tra le persone.

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Il ritorno del carcere fascista

8197520094 ab41ef16fc odi Patrizio Gonnella su il manifesto del 19 novembre 2023

Con il nuovo delitto di rivolta nasce il reato di lesa maestà carceraria. Il governo, a volto e carte scoperte, ha deciso di stravolgere il modello penitenziario repubblicano e costituzionale, ricollegandosi al regolamento fascista del 1931. Il crimine di rivolta carceraria, così come delineato all’interno del pacchetto sicurezza, sarà un’arma sempre carica di minaccia contro tutta la popolazione detenuta. Qualora dovesse essere approvato così come è stato scritto, cambierà la natura del carcere in modo drammatico e autoritario. Il nuovo articolo 415-bis del codice penale punisce fino a otto anni di carcere: “Chiunque, all’interno di un istituto penitenziario, mediante atti di violenza o minaccia, di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti ovvero mediante tentativi di evasione, commessi da tre o più persone riunite, promuove, organizza, dirige una rivolta”. 

La violenza commessa da un detenuto verso un agente di Polizia penitenziaria, che già prima era ampiamente perseguibile, ora è parificata alla resistenza passiva e alla tentata evasione. In sintesi se tre persone detenute che condividono la stessa cella sovraffollata si rifiutano di obbedire all’ordine di un poliziotto, con modalità nonviolente, scatterà la denuncia per rivolta. Un detenuto, ad esempio entrato in carcere per scontare qualche mese per un furto semplice, ci potrebbe restare per quasi un decennio, senza potere avere accesso ai benefici penitenziari, in quanto la rivolta viene parificata ai delitti di mafia e terrorismo. Ancora più incredibile è l’avere inserito il tentativo di evasione tra le modalità di realizzazione della rivolta (non riuscita visto che il detenuto ha solo tentato di scappare), alla faccia del principio penalistico del ne bis in idem, in base al quale non si può essere puniti due volte e per due delitti diversi a causa della stessa condotta. 

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60mila detenuti e il governo di destra butta la chiave

29soc1-carcere-regina-coeli-foto-andrea-sabbadin-5di Patrizio Gonnella su il manifesto dell'11 novembre 2023

“Chiudere, chiudere, chiudere”. È oggi il mantra che si sente ripetere dalle parti del ministero della Giustizia, come se nulla fosse accaduto in passato. I detenuti hanno raggiunto la quota di 60 mila. Più o meno 10 mila in più rispetto alla capienza regolamentare. Numeri che non si vedevano da tantissimo tempo. Era il 2013 quando l’Italia fu condannata per trattamento inumano e degradante a Strasburgo, da parte della Corte Europea dei diritti umani, nella famosa sentenza Torreggiani. I giudici affermarono perentoriamente che il sovraffollamento rendeva intollerabili le condizioni di detenzione nel nostro Paese. Fu allora che l’amministrazione penitenziaria, finalmente, si adeguò ai più elevati standard europei, proponendo modelli di vita interni più aperti e la possibilità per il detenuto comune di trascorrere almeno otto ore al giorno fuori dalle celle anguste e affollate. 

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Tortura. Antigone: "la Consulta ricorda quanto sia fondamentale perseguire i torturatori. Governo e Parlamento archivino i propositi di intervenire sul reato"

Giulio-RegeniLa Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla possibilità di perseguire i presunti autori di torture anche laddove non sia possibile notificare gli atti ai soggetti chiamati a rispondere di queste accuse, nello specifico nel caso di Giulio Regeni, ci dice una cosa fondamentale, cioè che la tortura va sempre perseguita. 

La Consulta scrive che «non è accettabile, per diritto costituzionale interno, europeo e internazionale» la paralisi senza fine del processo per l'impossibilità di notificare gli atti a causa della mancata cooperazione del Paese di appartenenza degli imputati. Una situazione che si risolverebbe in "un'immunità de facto", che offende tra l'altro i diritti inviolabili della vittima (art. 2 Cost.) e il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in un quadro in cui la codificazione della tortura "è connaturata alla radicale incidenza di tale crimine sulla dignità della persona umana". 

Anche a fronte di tale pronuncia chiediamo ancora una volta a Governo e Parlamento di archiviare definitivamente ogni proposito di modifica o, peggio ancora, abolizione del reato di tortura che, come ricorda la Consulta, va sempre e ovunque perseguita.

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